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Aqua La Voce DAC

Tre chip per un DAC, ovvero come personalizzare il proprio convertitore

Vi sono cose nella vita che grazie al loro modo d’essere, alla chiarezza con la quale emerge la filosofia di cui sono intrise, ci regalano serenità ed appagamento. Quando mi capita di incocciare in queste particolari situazioni vi confesso che passione e curiosità prendono il sopravvento su tutti gli altri aspetti del mio carattere. Quando poi è il caso a determinare tali “congiunzioni astrali” il piacere risulta amplificato.

Introduzione

Aqua, semplicemente l’acronimo di acoustic quality, è una piccola azienda milanese che ha sede ad Opera e che per ora si applica con grande impegno alla realizzazione di sorgenti digitali di ottimo livello. A catalogo vi sono una meccanica cd denominata La Diva e un DAC di pari livello, La Scala. Alle spalle di questi prodotti di punta vi è un interessante prodotto che in origine fu concepito per essere distribuito e venduto in configurazione kit ma che in seguito, per le molte richieste pervenute, è stato anche confezionato a dovere: si tratta dell’oggetto in prova, che è stato cotto a puntino dal sottoscritto, il DAC La Voce.
Come molti dei nostri lettori già sapranno, il DAC è un componente che si occupa di una delle questioni più delicate nell’ambito della riproduzione audio ovvero quello della conversione del segnale digitale in analogico e dopo diversi anni in cui nel mercato dell’alta fedeltà hanno avuto scarsa rilevanza commerciale rispetto ai lettori digitali integrati cd, sono tornati in “gran spolvero” soprattutto per merito della cosiddetta musica liquida. Oggi infatti acquistare un DAC potrebbe essere una ottima scelta per chi vuol continuare ad ascoltare il disco argentato mediante l’uso di una meccanica dedicata ma anche per chi vuole estrarre ogni bit dai files musicali, magari ad alta risoluzione, con l’impiego di un personal computer. Come vedremo il nostro La Voce non difetta certo in flessibilità d’impiego, caratteristica questa che non si limita solo alle molte connessioni disponibili.

Design

La Voce DAC si presenta in un sobrio ma elegante contenitore antirisonante di alluminio amagnetico, finitura Nextel, e un frontale di buono spessore con una lieve svasatura del lato inferiore che ne alleggerisce la linea. A vista solo il pulsante di accensione, un piccolo led di colore verde ad indicare il funzionamento o meno del DAC e il selettore degli ingressi. Sul retro tutte le connessioni che, a seconda del grado di personalizzazione, possono essere davvero molte. Semplicità e rigore, esattamente come piace al sottoscritto.

Costruzione

Il progetto La Voce, come ben illustratomi dal progettista Cristian Anelli, è nato 3 anni fa, per poi evolversi con alcuni upgrade, con l’intento di offrire un convertitore digitale-analogico che suonasse “nel modo più musicale e naturale possibile quasi analogico”, e che avesse un prezzo accessibile e un elevato rapporto qualità/prezzo. Il tutto inoltre è stato pensato e realizzato modularmente con schede separate per ridurre quanto più possibile l’obsolescenza di questo tipo di prodotto. La prima versione, ad esempio, disponeva di un ingresso USB a bassa tensione ma dopo poco fu aggiornata per mezzo di una scheda con processore XMOS 24bit/192kHz , con la tecnologia più fedele oggi disponibile. Altri aggiornamenti, tutti a disposizione della clientela, hanno interessato la scheda principale, i trasformatori e l’implementazione del collegamento mediante I²S.
Se questo non dovesse bastare, sempre nell’ottica di cui sopra, ma anche per offrire una elevata dose di personalizzazione, chi acquista il DAC La Voce o La Voce Kit può scegliere quale circuito integrato di conversione installare con due dei più apprezzati, oggi come ieri, convertitori NOS quali il Philips TDA1541A e l’Analog Devices AD1865 oppure con l’ottimo Burr Brown PCM1704. Di quest’ultimo è disponibile anche la versione selezionata, siglata con la versione K, la stessa che è installata nel DAC più prestigioso La Scala e che è stata usata per la presente prova. La scelta di questi convertitori è una logica conseguenza della filosofia progettuale e degli scopi prefissati, che si traduce nella volontà di evitare il filtraggio digitale e di produrre un DAC Zero Over Sampling. Aggiungerei che mentre il Philips TDA1541, nato negli anni ’80, è stato concepito per dialogare con il protocollo I²S che è lo standard del protocollo PCM, lavora benissimo ed è abbastanza facile da implementare in un circuito ZOS, diversa è la situazione sia dell’Analog Devices AD1865 che del Burr Brown PCM1704 che hanno una decodifica proprietaria per cui farli lavorare col segnale I²S senza alcun tipo di sovracampionamento, senza oversampling o upsampling è fattibile ma non così semplice.
Piccola parentesi di natura tecnico/pratica. L’assenza di sovracampionamento genera una ricostruzione dell’onda sinusoidale del segnale scalinata, con rumore in alta frequenza non trascurabile (che si ovvia di solito con l’uso di un filtro) rispetto a quella generata utilizzando il sovracampionamento. Fin qui lo ZOS sembrerebbe una scelta poco sensata. C’è però da dire che con il sovracampionamento se si tratta di riprodurre un’onda quadra o un segnale impulsivo, questi risulta molto approssimato. Mentre l’onda quadra senza alcun sovracampionamento è perfetta, con il sovracampionamento o l’upsalmpling l’onda quadra fa delle oscillazioni, ha un pre-rising e un post-rising, sale e scende molto lentamente. Lo ZOS invece non ha alcun ritardo. Vi sono teorie diverse in merito a questo argomento ma, anche correlando le misure all’ascolto, in Aqua hanno deciso che lo ZOS è la strada giusta.
Particolare attenzione è stata posta anche nell’alimentazione: la parte analogica e la sezione analogica dei DAC è totalmente a discreti. I circuiti integrati sono inseriti solo nella parte digitale ossia in tutta la decodifica e nel ricevitore digitale.
Apprezzabile pure l’isolamento galvanico tramite trasformatori di disaccoppiamento fra la massa analogica del DAC rispetto la massa digitale e l’implementazione dell’ingresso I²S, alla base del circuito proprietario DFD (Direct From Decoder), che secondo quelli di Aqua è superiore a qualsiasi tipo di collegamento. Purtroppo, non avendo a disposizione una meccanica con tale interfaccia, non ho potuto verificare sul campo, ma, anche se i bit sono bit ed i numeri sono numeri, possiamo pacificamente affermare che con l’utilizzo dell’I²S vi è un passaggio in meno, ovvero il segnale nativo I²S viene prelevato dalla meccanica e trasferito al DAC senza alcun circuito integrato che funge da trasmettitore e poi da ricevitore nel DAC come ad esempio succede per il collegamento S/PDIF.
Per altre note vi consiglio di consultare la pagina de La Voce sul sito di Aqua, davvero ben realizzata e completa, e da cui è possibile scaricare anche i driver Asio – Wasapi indispensabili se si opera in ambiente Windows ed un chiaro manualetto d’installazione degli stessi e di configurazione per Foobar 2000. Da rilevare inoltre la garanzia che copre il prodotto per una durata di 5 anni.

Suono

La prova d’ascolto, per la quale ho adottato un approccio molto metodico, è stata, per causa mia, più complessa del previsto: invece di scegliere la scheda di conversione del DAC a me più appropriata o migliore sulla carta ho deciso di confrontarle tutte e tre anche per aggiungere qualcosa alla già molte informazioni reperibili in rete in merito al DAC La Voce.
Il Nostro è stato inserito nel mio impianto principale, che trascurando il sistema giradischi non utilizzato per la prova, è composto da: sorgente digitale cd/sacd Cary Audio 306 Pro, sorgente digitale per musica liquida Apple Mac Pro con software Audirvana+ o Pure Music e interfaccia USB-S/PDIF M2Tech Hiface, preamplificatore Atelier du Triode ilpre, finale di potenza Cello Rhapsody, diffusori Revel Ultima Studio, cavi di alimentazione e potenza Faber’s Cables e di segnale Signal Cable. Per l’ascoto dei files ad alta risoluzione è stato semplicemente collegato l’Apple Mac Pro al DAC mediante cavo Usb mentre per l’ascolto dei cd è stato utilizzato il Cary Audio 306 Pro come meccanica sfruttando il collegamento S/PIDIF presente.Più volte, fra le righe che seguiranno, si troverà la frase “a confronto col riferimento”, quest’ultimo rappresentato proprio dal lettore cd/sacd americano che staziona nel mio impianto da circa 3 anni e che oltre ad essere una macchina di ottimo livello è soprattutto, a me, ben nota.
La sala d’ascolto ha ottime proporzioni, misura in pianta circa 25 metri quadri, è mediamente assorbente ed è suprattutto priva di riflessioni modali particolarmente dannose.
Per cominciare ho selezionato il bellissimo disco Antonio Vivaldi, The Four Seasons – Giuliano Carmignola, Andrea Marcon, Venice Baroque Orchestra – Sony 2000 [SK51352] lavoro eccellente che propone una versione delle Quattro Stagioni che mai avevo ascoltato prima e che consiglio vivamente se ancora non doveste conoscerla.
Il Philips TDA1541A riesce meglio dei suoi concorrenti a mettere in luce il clavicembalo di Marcon (tr.7 – Estate II Adagio) che altrimenti risulta in secondo piano rispetto ai violini e al violino solista di Carmignola in particolare. Buona la ricchezza amonica ma si nota però una minore estensione in gamma alta (tr.11 – Autunno II Adagio Molto) ed un limite di velocità o, per dirla più correttamente, gli attacchi dei transienti non sono certo fulminei come l’esecuzione richiederebbe.
Con l’Analog Devices AD1865 il suono è più esteso ed aperto in gamma alta sia del Philips che del Burr Brown (si avvicina in questo al riferimento); a tratti però risulta leggermente frizzante. In gamma bassa è invece meno esteso del Cary Audio e anche dei suoi “fratellastri”, e la gamma media risulta leggermente arretrata. Dalla sua dimostra grande musicalità (ove per musicalità si intende quel che in Naim definiscono PRaT, che buttata lì sembra un insulto, e invece è solo “pace, rhythm and timing”, cioè cadenza, ritmo e tempo) superiore al Burr Brown e a maggior ragione al Philips, tanto che riesce a riprodurre con disinvoltura le acrobazie del Maestro Carmignola.
Il Burr Brown PCM1704K suona ricco, pieno e potente in gamma bassa, è praticamente sovrapponibile dal punto di vista timbrico al riferimento ma, come già detto, con questo repertorio verdiano difetta lievemente in musicalità rispetto al riferimento e all’AD1865.
Passiamo ora a un altro bellissimo e noto lavoro ascoltato sia per mezzo del cd che dei files HD 24bit/88.2kHz: A.A.V.V., Cantate Domino – Oscar’s Motet Choir; Torsten Nilsson, conductor; Marianne Mellnäs, soprano; Alf Linder, organ – Proprius 2003 [PRSACD7762]
Il Philips TDA1541A sfodera un basso esteso e potente, e chi conosce le Revel Ultima Studio sa bene a cosa mi riferisco, ed è veramente notevole nella riproduzione delle voci soliste e dei cori; ottima l’ambienza e la scansione dei diversi piani sonori ma si nota però una timbrica un poco approssimata durante gli interventi delle trombe (tr.1 – Cantate Domino) che risultano un po’ troppo levigate.
Con l’Analog Devices AD1865 il basso, come già evidenziato in precedenza e con questo repertorio in particolare, è evidentemente meno esteso e potente sia rispetto al Philips che al Burr Brown PCM1704K: quest’ultimo dalla sua regala una bellissima e ricca gamma bassa e cori realistici con una giusta dose di dolcezza. Palco largo, addirittura più del riferimento, e buona profondità.
Sono passato poi ad un paio di dischi decisamente più pop come Antony & The Johnson, Omonimo – Secretly Canadian 2000 [SC104] e la raccolta Fabrizio De André, In Direzione Ostinata E Contraria Vol.2 – BMG Ricordi 2006 [88697028662(3)].
La voce di Antony (tr.1), installando nel DAC la scheda con il Philips, è meravigliosa così come quella di Fabrizio De André (tr.6/9/10/15): focalizzazione da primato.
Questa volta l’Analog Devices AD1865 sembra avvicinarsi al riferimento nella riproduzione del basso che è esteso e controllato. La voce di Antony però risulta leggermente più chiara e anche con De André le cose non cambiano.
Se la cava egregiamente il Burr Brown PCM1704K nonostante le voci non contengano la stessa magia che si riescono ad ottenere con il Philips; voci comunque centrate e perfettamente a fuoco, riproduzione assolutamente godibile con un’ottima scansione dei piani e suoni riproposti con tutta la loro ricchezza armonica.
Di seguito ho estratto dalla mia cdteca un master Velut Luna in mio possesso con l’ottima registrazione di un concerto privato svoltosi l’11 settembre 2011 che ha visto protagonisti i Sax Four Fun e il bravissimo trombettista Fabrizio Bosso. Sax Four Fun & Fabrizio Bosso, Giant Step – Velut Luna 2011 [VLLR08]. Di questo evento possiedo anche i files ad alta risoluzione 24bit/88.2kHz che ho utilizzato per la comparativa. Stavo per dimenticare che a questo bellissimo concerto io ero presente e questo come altri eventi similari organizzati da Velut Luna hanno avuto il pregio sia di regalarci della buona musica dal vivo sia delle registrazioni fedeli che sono, almeno per me, diventate un riferimento e anche uno strumento molto utile per settare e giudicare gli impianti, compreso il mio.
Il Philips TDA1541A dimostra con questo tipo di repertorio buona musicalità e senso del ritmo riuscendo in questo caso ad avvicinarsi molto all’Analog Devices. In questo caso però il Philips dimostra i suoi limiti di natura timbrica, già evidenziati in precedenza, non riuscendo a riprodurre il suono lucido e a tratti acido della tromba di Bosso. La ricostruzione scenica è la più credibile e sincera del lotto e regala a me in particolare che ero presente all’evento, grande emozione e coinvolgimento totale.
L’Analog Devices AD1865 con questo disco molto dinamico e ricco di fraseggi molto complessi (v. tr.2 – Seven Hungry) da’ il meglio di sé riusciendo a fornire una prestazione superba mettendo in evidenza quella che è la sua migliore caratteristica, la musicalità. Segue senza alcuna esitazione ogni escursione dinamica senza lasciarsi alle spalle mai una nota e a mio avviso risulta preferibile anche rispetto all’equilibrato e dinamico Burr Brown.
Per concludere ho voluto chiudere i giochi con un nuovo lavoro dell’etichetta trevisana, David Beltran Soto Chero, Migajas – Velut Luna 2013 [CVLD 238], riproducendo i files HD 24/88.2 a mia disposizione.
Confermo tutte le caratteristiche sopra descritte ma aggiungo che l’unica scheda di conversione capace di riprodurre tutto il “bagaglio” dinamico contenuto in questo disco “concept”, davvero inconsueto per questo tipo di genere musicale, è stato il Burr Brown PCM1704K.

Universalità

Le differenze fra una scheda e l’altra, come avrete capito, sono piuttosto palesi, difficile dire quale sia la migliore in assoluto. Tutto sommato mi sono piaciute tutte e tre, anche le più limitate o caratterizzate perché tutte danno il loro contributo, con determinate qualità e caratteristiche specifiche. L’ideale per assurdo sarebbe una scheda di conversione “Frankestein”, con l’equilibrio, la dinamica, la velocità del Burr Brown, la messa a fuoco e la corposità delle voci che il Philips riesce ad esprimere e la grande musicalità dell’Analog Devices.
Razionalizzando per il mio sistema sceglierei la scheda con il Burr Brown che fra le altre cose somiglia al riferimento e tende più delle altre alla neutralità e al rigore timbrico, caratteristiche che per il sottoscritto sono di fondamentale importanza.
Mi rendo conto però che in base ai gusti ma anche in base al tipo di suono che il proprio impianto esprime, si possa tranquillamente propendere per il TDA1541 o l’AD1865.
Per questo il DAC La Voce si può considerare come un prodotto di flessibilità e adattabilità assoluta.

Valore

Stimare il valore di un oggetto non è mai semplice ma in questa occasione, considerando come è concepita e costruita questa macchina, la grande possibilità di personalizzazione che prevede anche la scelta della scheda di conversione più adatta alle proprie esigenza, l’aggiornabilità futura e quindi la minor obsolescenza rispetto alla concorrenza, posso tranquillamente affermare che si tratta di un eccellente prodotto. Buono il rapporto qualità/prezzo se si considera il DAC La Voce, semplicemente stellare per il kit.

Conclusioni

Non poteva iniziare meglio di così il mio debutto fra le pagine di VideoHiFi, con un prodotto concepito in modo estremamente intelligente e destinato ad un vasto pubblico almeno se si considera la versione kit. L’approccio e la filosofia progettuale degli uomini che guidano quest’azienda sono sani e condivisibili ed anche per questo, non solo per come suona, consiglierei il DAC La Voce ai miei amici più cari.

PAGELLAVOTOAqua La Voce DAC e La Voce Kit
Design e costruzione4/5Sobrio ed elegante. Buoni i materiali e la componentistica utilizzata.
Universalità5/5Configurabile a misura del proprio impianto. Eccezionale flessibilità.
Suono5/5Buon suono, con caratteristiche definibili a seconda della scheda di conversione utilizzata. Camaleontico.
Concretezza5/5Prodotto completo, ottimamente progettato e realizzato
Valore4/5 5/5Rapporto qualità prezzo elevato.
Eccellente per la versione kit.
Voto complessivo23/25
24/25

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